Contrastare la povertà educativa a partire dal coinvolgimento di bambine e bambini
Secondo il rapporto di Save the Children del 2022 sulla povertà educativa, in Italia il 67,6% dei minori di 17 anni non è mai andato a teatro, il 62,8% non ha mai visitato un sito archeologico e il 50% non è mai entrato in un museo. È questo il fenomeno conosciuto come povertà educativa: la privazione della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni di bambini, bambine e adolescenti.
Quello della povertà educativa è un problema collettivo per cui serve costruire risposte collettive. Sempre più istituzioni e organizzazioni hanno trovato un’efficace risposta alla povertà educativa nella promozione delle comunità educanti: reti di relazioni solidali alimentate da coloro che vivono e operano in un territorio specifico, oltre la semplice istituzione scolastica. Scuola, insegnanti, famiglie, enti locali, terzo settore e aziende possono collaborare per garantire un’esperienza educativa e formativa di qualità a tutti e tutte — senza lasciare indietro nessuno. Sono nati così in Italia i patti collaborativi: strumenti per creare alleanze territoriali tra scuole, enti locali, soggetti del terzo settore e del civismo attivo centrate sulla pari dignità e sul reciproco riconoscimento di tutti gli attori che possono contribuire allo sviluppo di risposte educative di qualità.
“Cosa proponiamo: […] favorire la collaborazione con le realtà educative e culturali del territorio, e la partecipazione degli stessi alunni e delle loro famiglie.”
(Save the Children, “Povertà Educativa, 2022”)
Soluzioni efficaci queste, che però richiedono una grande attenzione nella gestione dei processi e grande cura della collaborazione tra tutti gli attori interessati, con competenze che non si possono improvvisare. Come Sociolab abbiamo potuto cimentarci in questa impresa nell’estate del 2020, un periodo segnato dalla pandemia di Covid-19 e dalla chiusura prolungata delle scuole. Supportando il Comune di Scandicci nel consolidamento di una nuova comunità educante, abbiamo sostenuto la progettazione di un’ampia offerta di centri estivi che fosse capace di non lasciare nessuno indietro, per colmare i gap educativi e formativi di cui soffrivano studenti e studentesse dopo mesi di DAD. Gli strumenti erano quelli del nostro mestiere: la facilitazione di processi decisionali, la cura di ambienti inclusivi, la progettazione partecipata.
Perché alla comunità educante partecipino davvero tutti gli attori coinvolti, non possono certo mancare i diretti interessati: le bambine e i bambini. Lo diceva già nel 1989 la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Bambino, che riconosce il “diritto dei bambini a essere ascoltati in tutti i processi decisionali che li riguardano” e individua per gli adulti il corrispondente “dovere di tenerne in adeguata considerazione le opinioni”. Anche per questo è importante che i percorsi di attivazione delle comunità educanti riconoscano i minori come persone con un proprio punto di vista unico e complesso, da ascoltare in modo attivo, tenere in considerazione come qualcosa di valore per il successo degli interventi di contrasto alla povertà.
Lo stesso approccio si trova anche nelle “Linee guida per la partecipazione di bambine e bambini e ragazze e ragazzi”, adottate di recente dall’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza. Secondo l’Osservatorio, obiettivo fondamentale per tutelare i diritti dei minori è “diffondere l’educazione all’ascolto dei bambini e dei ragazzi e la cultura della loro partecipazione, al fine di renderla un elemento intrinseco di tutti i processi decisionali che li riguardano”.
“La mancanza di opportunità costruttive in giovane età è un problema perché priva il mondo degli adulti e la società del potenziale generativo che i bambini e i ragazzi possono offrire.”
Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza
Per ascoltare bambine e bambini e promuovere la loro partecipazione non basta volerlo fare — serve anche sapere come si fa. La nostra professione ci ha insegnato che per ascoltare qualcuno non basta aprire gli spazi — ma serve studiare in modo continuativo gli strumenti, i contesti e i processi più adatti a favorire la piena partecipazione attiva di tutti e tutte. Bambine e bambini inclusi.
Lo abbiamo fatto nell’estate del 2020 con il progetto “Ricreazione”, ascoltando complessivamente 36 persone dai 6 ai 16 anni per identificare i bisogni educativi e di socialità a cui il lockdown e la pandemia non trovavano più risposta. Una sfida importante e complessa, che ha reso necessario disegnare strumenti di ascolto ad hoc per avvicinarci con delicatezza a un vissuto così doloroso.
Ascoltare i bambini come parte attiva del vivere sociale non è soltanto una scelta di inclusione, ma è anche estremamente utile a prendere decisioni informate. Secondo l’approccio del design thinking, le persone che fruiscono di un servizio sono portatrici di esperienze fondamentali per una progettazione efficace e sono esperte delle proprie esigenze. Guardare a bambine e bambini come fruitori di servizi educativi e scolastici significa allora riconoscerli come portatori di interesse in ambito di educazione e di scuola.
Lo abbiamo visto bene nel 2021 con “Scuola Aperta Città che Educa”, il percorso di ascolto e attivazione della comunità educante voluto dall’Istituto Comprensivo Rossella Casini di Scandicci. Il percorso ha preso le mosse proprio dall’ascolto di studenti e studentesse, per capire come il lockdown e i mesi successivi avessero cambiato il loro modo di vivere gli spazi scolastici. È a partire dal loro punto di vista che sono state co-progettate nuove soluzioni per l’Istituto, maturando l’idea di sperimentare l’introduzione di meccanismi di elezione dei rappresentanti di classe per la scuola media.
“Il mondo della didattica interessa direttamente bambini e bambine, ed è sicuramente un luogo in cui è prioritario portare la loro viva voce. Ma non è l’unico”!
Il mondo della didattica interessa direttamente bambini e bambine, ed è sicuramente un luogo in cui è prioritario portare la loro viva voce. Ma non è l’unico! Nella nostra esperienza ci siamo accorte di come il punto di vista di persone minorenni possa essere prezioso anche per sviluppare politiche in altri ambiti. È il caso ad esempio di esperienze di urbanistica come “Prato al Futuro” o “Sesto Poi”, in cui ci è stato chiesto di coinvolgere bambini e bambine nel dialogo sui Piani Operativi della propria città.
Che cos’altro hanno da dire bambini e bambine sui processi che li riguardano? Si può portare il loro sguardo in altri luoghi decisionali che li riguardano, meno tipicamente associati all’infanzia e all’adolescenza? A tre anni dalla pandemia, questa domanda ci interessa ancora. Cerchiamo realtà e organizzazioni che vogliano trovare questa risposta insieme a noi!