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da spettatori dell’emergenza a protagonisti del cambiamento

Sociolab
4 min readMay 15, 2020

In questi due mesi di lockdown ciascuno di noi ha svolto per lo più il ruolo di spettatore. Abbiamo assistito al divampare dell’emergenza, prima all’estero e poi nelle nostre città; abbiamo assistito all’adozione di misure di contenimento del contagio, che però hanno contenuto fortemente anche le nostre vite sociali e lavorative; abbiamo assistito ad un proliferare di previsioni su quello che ci attende nei prossimi mesi, così come un proliferare di opinioni su quello che ci si attende da noi, come genere umano, in un momento di svolta così radicale: dalla necessità di cercare una “nuova normalità” fatta di distanziamento sociale (anche se preferiremmo chiamarlo “distanziamento fisico”) , mascherine, contingentamento degli accessi, oltre che alla chiamata ad un totale ripensamento del sistema produttivo ed economico mondiale.

Illustrazione di Irene Ieri

Più o meno al giro di boa di questi due mesi, il 30 marzo, l’Imperial College di Londra ha pubblicato i risultati di uno studio sull’andamento del contagio da COVID-19 in Europa e sull’impatto delle misure sociali di contenimento adottate in molti Paesi. Secondo il modello statistico dei ricercatori inglesi, dall’inizio dell’epidemia fino alla fine del mese di marzo il distanziamento al quale ci siamo tutti sottoposti ha contribuito ad evitare 38.000 decessi in Italia, ed un totale di 59.000 in tutta Europa.

In molti nel nostro paese hanno dato grande risalto a questo dato, mettendo in evidenza come il contributo di tutti — seppur nei panni di “spettatori” — sia stato fondamentale per gestire un’emergenza mondiale senza precedenti e per salvare vite umane e come, in fin dei conti, con la responsabilità e l’impegno si possono raggiungere incredibili risultati.

Nel frattempo è arrivata la Fase 2, che per molti significa la fine della clausura forzata e il ritorno ad una quotidianità fatta di incertezze: il mattino si esce di casa per andare al lavoro (“Riusciremo a riprenderci da una crisi economica così profonda?”; “Ma le scuole quando riaprono e, fino ad allora, chi resta con i bambini?”), ci si sposta in città (“Ma i mezzi di trasporto pubblici ci sono e, in caso, sono sicuri?”), si tornano ad incontrare gli altri (“Corro il rischio di ammalarmi? Piomberemo di nuovo nel dilagare incontrollato del contagio?”).

Quello che è certo è che con la Fase 2 stiamo smettendo di essere spettatori e torniamo ad essere cittadini, pendolari, lavoratori, educatori, consumatori, decisori e protagonisti. E tutto questo richiede più responsabilità ed impegno di quanto non ce ne siano stati richiesti fino ad ora. Insomma, tra le tante questioni non c’è più solo un, seppur legittimo, “Cosa devo aspettarmi?”, ma anche un “Cosa posso fare, io?”.

E’ necessario immaginare una fase post-emergenza in cui le persone smettono di essere spettatori per partecipare attivamente alla definizione dello scenario di cambiamento che stanno vivendo. Ognuno può contribuire a salvaguardare le nostre comunità e a ricostruire ciò che è andato perso in questi mesi in termini di coesione sociale, qualità della vita, condizioni lavorative e sistema economico. I cittadini possono adottare un atteggiamento di apertura e disponibilità al dialogo e, allo stesso tempo, esigere con fermezza di essere coinvolti dalle Istituzioni; i lavoratori possono mettere a disposizione competenze, impegno e creatività per aiutare la nostra economia a riattivarsi e a ripartire, se viene loro garantito un ambiente tutelato; mentre i decisori pubblici e le organizzazioni private e no profit possono impegnarsi per costruire opportunità di confronto e scambio con e tra le persone per iniziare a disegnare scenari futuri, pur nel rispetto delle direttive sanitarie.

Pur non potendo organizzare riunioni pubbliche in condizioni “normali”, ovvero con grandi assembramenti e distanze ravvicinate, le possibilità offerte dal confronto e dal dibattito non devono essere precluse. Come è stato evidenziato, la crisi sanitaria sta accelerando la trasformazione digitale del Paese, trasformazione che da un lato ha bisogno di processi di accompagnamento per renderla davvero inclusiva, dall’altro offre strumenti di connessione e di relazione che possono essere esplorati. La partecipazione con strumenti digitali può supportare la trasformazione e gestione di spazi, servizi, organizzazioni e comunità, valorizzando la collaborazione come fattore di innovazione. E’ più che mai in situazioni di emergenza che il coinvolgimento attivo di chi abita un luogo, usufruisce/gestisce un servizio o fa parte di un sistema di relazioni deve essere favorito, perché ne siano riconosciuti i bisogni, attivate le competenze e promosse le capacità creative.

Tutto questo si chiama partecipazione, ed ora più che mai rappresenta una ricchezza preziosa che va custodita e moltiplicata, nonostante i dubbi, nonostante il virus, nonostante le nostre stesse paure.

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